Chi vuol esser artista sia di doman non v’è certezza
Oggi voglio parlare di come il linguaggio e il ‘senso comune’ possano tarpare le ali sul nascere a un potenziale artista. Ti avverto che la prendo alla larga.
Prendiamo un fotografo per ipotesi, ha la sua partita IVA e fa foto di matrimonio normali, né infamia né lode, ma ha una sufficiente clientela e ci campa il giusto. È un fotografo, abbiamo detto, e lo è pur senza aver cambiato la storia della fotografia, pur senza essere Cartier-Bresson o Mapplethorpe.
Prendiamone un altro, non ci vive, ma frequenta i circoli fotografici da tutta la vita, fin dai tempi dell’analogico, conosce bene la tecnica, sia di ripresa, luci, annessi e connessi, che di camera oscura, al passo con i tempi ha pure imparato a fare post-produzione con i software professionali per la fotografia, espone spesso le sue foto, quando lo fa sulla locandina si vede scritto “il fotografo x y espone ….”, magari ha un bel talento, o forse no, ma ha competenze analoghe a quello con partita IVA, e neppure lui diventerà il nuovo fotografo del secolo.
Fin qui ci sei?
Ora prendiamo un’artista, per descriverla visualizzo mentalmente un’artista americana che ho conosciuto perché entrambe eravamo presenti a un webinar su zoom (non ne faccio il nome però), ha partita IVA (in questo caso l’omologa americana), ha frequentato l’accademia e ora dipinge nature morte, graziose ma è la solita roba per capirci, però vende come una macchina da guerra, ci vive davvero molto bene con la sua pittura, non sarà mai un Monet, e neppure un Morandi, ma ci vive benissimo.
Ora prendiamo una signora che non ha studiato arte a scuola, magari perché i suoi genitori volevano che facesse un lavoro serio, tuttavia lei ha la passione, è tutta la vita che disegna e dipinge, studia tecniche tra le più diverse, ogni tanto espone, qualche volta vende, ma non guadagna con quello, non ha la p.iva, fa un altro lavoro. Quando espone, durante la presentazione c’è chi la presenta come ‘l’artista che ha dipinto questi quadri è…. x y.‘
Adesso ragioniamoci su, il mondo dell’arte è caratterizzato da recinti chiusi, custoditi da austeri controllori, accademici, ma non solo, che nella storia hanno ampiamente dimostrato di mancare totalmente di capacità di visione e adattabilità alle nuove leve dell’arte. L’esempio più classico che si può fare, vado sul banale solo perché lo conoscete tutti, è quello dell’Impressionismo che deve il suo nome all’ennesimo critico che adottando una logica da parruccone, vedendo una nuova arte non accademica, prendendo in modo dispregiativo il titolo di un’opera di Monet esposta, lo storpiò per etichettare in modo svalutativo tutta la schiera di artisti che avevano osato esporre quella roba a suo dire inguardabile.
Sappiamo com’è andata dopo, non passò molto tempo prima che quella roba inguardabile soppiantasse l’arte accademica di quel periodo e rendesse molto facoltosi gli artisti che l’avevano portata avanti.
Eppure, per l’establishment di quel periodo, quella non era ‘arte’ e quelli non erano ‘artisti’.
Se con la fotografia del primo esempio non si fa fatica a chiamare fotografo anche l’hobbista esperto, con l’artista che non è professionista (con partita IVA da artista che la possono aprire tutti anche se per ipotesi non sapessero tenere in mano una matita, mica l’Agenzia delle Entrate ti fa un esame per fartela aprire) o che non è il top del top destinato a finire nei libri di Storia dell’Arte, c’è tutta una resistenza diffusa, soprattutto degli accademici, ma anche di una larga parte degli artisti stessi, a consentire la definizione ‘artista’.
A me interessano le conseguenze di questa narrazione tossica.
Prima di vedere qualche conseguenza però vado a prendere dal dizionario della lingua italiana la definizione di artista. Prendo la solita Treccani:
1. Chi esercita una delle belle arti (spec. le arti figurative, o anche la musica e la poesia): es. gli artisti del Rinascimento; gli artisti della scuola romana.
Come termine di classificazione professionale e dell’uso comune, anche chi svolge attività nel campo dello spettacolo (teatro, cinema, ecc.): es. artista lirico; artista di varietà; gli artisti della radio, della televisione; i camerini degli artisti; ingresso riservato agli artisti.
Il termine implica spesso un giudizio di valore ed è allora attribuito a chi nell’arte professata ha raggiunto l’eccellenza: es. è un vero artista, un grande artista, un artista di genio.
2. estens. Chi ha fine senso dell’arte ed è aperto al sentimento del bello: es. ha un’anima d’artista; parla, scrive, suona da artista; o chi eccelle nella propria professione, attività o mestiere: es. quel chirurgo è un artista; ho trovato un falegname che è un vero artista; questo giovane calciatore è un artista del pallone.”
Qui sta il problema. Nel dizionario è artista anche solo chi esercita una delle ‘belle arti‘ (quanto discutibile anche questo termine ma non divaghiamo), sotto aggiunge “chi svolge attività” (non dice professionalmente) quindi l’artista hobbista è di fatto un artista, o proseguendo nella definizione anche come termine di classificazione professionale, quindi l’artista con partita IVA (anche se è scarso e non è un Caravaggio) è un artista, e poi può (ma come abbiamo visto all’inizio non è l’unico uso) essere usato anche come giudizio di valore aggiungendoci (lo si evince dagli esempi stessi della Treccani) aggettivi qualificativi di magnificazione “vero”, “grande”, di “genio”.
Questo ci dice che la parola artista di per sé, come amo ripetere, NON è un titolo onorifico destinato solo alle eccellenze (su chi decide le eccellenze poi si potrebbe scrivere un libro), ma anche al praticante base.
Perché sto facendo un pistolotto su questa cosa?
Perché, come detto sopra, mi interessano le conseguenze tossiche della narrazione non da dizionario, quella che negli anni si è diffusa perniciosamente, secondo la quale o sei Rembrandt o non puoi definirti artista.
Il problema è che questo sistema oppositivo impedisce la sperimentazione di sé, impedisce che un giovane virgulto possa sentirsi accolto, accettato, e possa percepire che c’è potenziale spazio per sbagliare e crescere, perché no, o nasci genio sin da subito, con il primo lavoro (che però deve piacere all’establishment) o vai a fare l’operaio che è meglio.
Quindi vogliamo impedire all’artista una fase germinale in cui crescere e, se c’è, sviluppare un potenziale talento? Si apprende per errori, si apprende facendo schifezze totali, ‘croste‘ come vengono definite, e si ha bisogno di mostrarle al mondo per ricevere feedback che permettano di migliorare, e magari tra mille artisti in erba, uno produrrà delle croste inguardabili per i suoi contemporanei, come accadde a Van Gogh, ma magari nel futuro quelle ‘croste‘ troveranno spazio in musei e collezioni, e quello che nel suo tempo presente miope è visto come un villano incolto indegno di definirsi artista diventerà l’Artista che tutti copiano.
La storia ha insegnato in svariati momenti che l’establishment artistico è miope, indiscutibilmente miope, che l’arte tende per propria natura a precorrere i tempi, e quindi ciò che oggi è inguardabile domani potrà essere meraviglioso, e quello che oggi è il top, domani con buona probabilità sarà considerato noiosa arte accademica.
Perciò davvero vogliamo affidare a controllori odierni il compito di decidere e definire chi merita di essere definito artista e chi no?
Poi, rifacendo un piccolo passaggio a ritroso nel mio discorso, davvero vogliamo definire artista solo chi vende? Il solito banale esempio di Van Gogh ci dice che uno che vendette un solo quadro nella vita ora è forse uno degli artisti più quotati, nominati e imitati della storia. Se sapessi dirvi un nome potrei citarvi qualche artista oggi sconosciuto che nei suoi tempi vendeva moltissimo, ma non riesco a recuperarlo proprio perché le sabbie della storia hanno spazzato via i loro nomi, inesorabilmente.
Il fatto è che l’arte è immersa nel proprio tempo, vi getta le radici, ma vive protesa in un tempo diverso rispetto al proprio, getta rami lunghi in un tempo che ancora non ci è dato, inoltre è per sua propria natura un campo di gioco libero, che non accetta limitazioni, tuttavia come tutte le cose libere sconta il problema di fare paura per la sua indefinibilità di fondo, per la sua mutevolezza, e quindi trova sempre folte schiere di controllori autonominati, solitamente (ma non necessariamente), di rigida formazione accademica, che dall’alto del loro scranno vogliono dettare le regole del recinto in cui si può giocare all’arte impedendo di esplorare cosa c’è intorno.
Poi lo sappiamo come va a finire, arriverà il Picasso di turno a sparigliare tutto e a far loro dei sacrosanti sberleffi.
Oggi per fare un esempio, oltre ai pittori ‘della domenica’ che pubblicano sul web a piene mani, il ‘nemico’ giurato è chi ‘osa’ utilizzare l’AI come strumento, guai a definirlo artista, persino se nella sua vita ha studiato arte, ed ha il pezzo di carta che lo dimostra.
Ci rivediamo tra una decina d’anni (forse qualcosa di più ma magari anche meno), vediamo di conservare le invettive dei contrari e poi andremo a confrontare le differenze tra l’adesso e il dopo.
Ma in ogni caso ci si lamenta del fatto che “non nascono più i grandi artisti“, ma ci credo!!!
Li uccidiamo nella culla, impedendo loro di sentirsi liberi di crescere, di mettersi alla prova, vedere accolti i loro onesti tentativi, manchiamo di dare uno spazio di ascolto privo di preconcetti alle loro idee, magari strambe, ma forse in mezzo a queste anche qualcuna potenzialmente innovativa. (Si dice buttare via il bambino con l’acqua sporca).
Se vogliamo rivitalizzare il mondo dell’arte per prima cosa dobbiamo ritornare alla definizione di artista presa dal dizionario, e smetterla di fare gli snob. Chiunque pratica un’arte è un artista, anche quello che fa croste a nostro giudizio, poi tanto arriverà il tempo a decidere chi resta e chi no.
Per chiarire questo punto, su cui so benissimo che i ‘no artista se non è il top‘ stanno respingendo con fastidio le mie eccezioni, voglio aggiungere, da persona con una formazione accademica in psicologia cognitiva oltre che artistica, un’evidenza scientifica, perché le cose che dico non me le sono inventate stamattina:
è noto l’effetto Rosenthal o effetto Pigmalione (o Golem al negativo) effetto Rosenthal link viene dal nome dello studioso tedesco che per primo lo ha approfondito e divulgato. Una particolare forma di suggestione o condizionamento che porta un soggetto a subire a tal punto l’aspettativa delle altre persone, da influenzare – in positivo o in negativo – le proprie azioni e i propri risultati. Si potrebbe anche comunemente leggere questo effetto come una sorta di “profezia che si autoavvera“. Al negativo detto effetto Golem, dal nome del gigante della leggenda ebraica modellato nell’argilla, privo di qualità umane.
Le aspettative e i preconcetti negativi intorno a noi ci convincono inconsciamente di avere dei limiti, andando a mettere una pesante ipoteca sul nostro futuro e sulla nostra capacità di impegnarci nel raggiungere gli obiettivi desiderati. Si tende ad identificarsi con l’immagine negativa che ci rimbalza addosso dal mondo e, più o meno consapevolmente, finiamo col realizzarla…
Non sei un artista perché ti dicono che non puoi esserlo, ti dicono che neppure puoi dire di esserlo, finisci per accogliere questa cosa come naturale e giusta e dirtelo da solo che non puoi definirti artista, ergo non ti sentirai un artista e ne consegue che non ti sforzerai mai davvero di superare il tuo limite, alla fine non lo diventerai mai dando di fatto loro conferma che non potevi diventare un artista e questo di rimbalzo confermerà persino in te l’idea che non avevi la stoffa. Cerchio magistralmente chiuso. L’artista è morto prima di essere nato.
Ecco dove nasce quella che viene definita ‘sindrome dell’impostore‘ di cui soffrono moltissimi artisti, al pari di moltissime donne che lavorano in ambienti tradizionalmente maschili o in posizioni prettamente riservate a uomini.
Ripeto ancora per renderlo chiaro: se tu a monte impedisci a un artista di definirsi artista gli stai togliendo la possibilità di diventarlo, semplicemente perché lo convinci intimamente di non meritarselo.
Ecco perché mi batto, con forza, con determinazione, contro questa deriva svalutativa, la stessa che analogamente porta le donne a iscriversi molto poco alle facoltà STEM, perché la vulgata comune fin dalla prima infanzia continua a martellare con la leggenda che gli uomini sarebbero più portati per la scienza, ottenendo l’effetto voluto e alimentando la leggenda in un serpente che si morde la coda.
Quindi davanti a me non si dica ‘quello non è un artista perché non è un genio’, o ‘perché non vende’, o ‘perché dipinge croste’. Se me lo dite aspettatevi un lungo tostissimo dibattito.
Mi batto come una tigre su questo, e non arretro di un millimetro, che si sappia.
P.s. aggiungo una nota nata da alcune osservazioni giunte a seguito di questo mio articolo:
tutto ciò non significa che i lavori non possano essere commentati o criticati, anzi, un feedback intelligente, motivato, articolato e ben dato è fondamentale per aiutare a far passare i principianti dal livello base a un livello successivo, dalla crosta a lavori pensati e strutturati. Si analizzano e criticano i lavori, non la persona che li ha fatti, ma mi pare persino strano dover precisare l’ovvio visto che qui siamo nelle regole basilari del vivere civile.